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Riccardo Ugo Villani

La Terra dei Sanniti Pentri

Curti, Stampa Sud, 1983

… (pp. 161-164)

 

Racconti popolari e superstizioni

 

La “Fontana dei zitielli” (zitiegli)

(così raccontato nel 1895 a mio padre)

 

Trovansi nel territorio detto “Fragnitieglio”, tra Ailano e Raviscanina tal fontana, ove fu lavato Gesù Bambino dalla Madonna (sic!).

Allorché i bambini sono stregati (gli tenno mmani le jare) si portavano a lavare in questa fonte. La madre si reca da una donna che fa “professione” di portare a quest’acqua i fanciulli, ed espostole la necessità ed il desiderio s’avviano insieme. I racconti di bambini stregati, portati alla “fontana” e guariti sono infiniti e varii; ma non vale la pena raccoglierli.

Alcune madri vi si recano col mago principale del paese; altre vi si recano con qualche persona di famiglia.

Giunti nei pressi della fontana ed inginocchiate recitano sette Salve Regina alla Madonna Addolorata, sette Pater, Sette Ave e sette Gloria a Gesù Bambino, che vi fu lavato per primo. Si lava poscia il fanciullo; e tagliato le unghie delle mani e dei piedi se ne legano i ritagli con pochi capelli, tre acini di fave ed alcuni pezzetti di pane in un pezzo di mussola o tela. L’involto si getta nell’acqua; e dall’affondare o galleggiare di esso si trae l’oroscopo della vita o della morte del bimbo: muore se affonda, vive se galleggia. Dato termine a questa operazione la madre, o la donna che la accompagna, preso il bambino in braccio passa per nove volte dall’una sponda all’altra della Fonte, recitando queste parole: “passo e strapasso e lu male re gliu figliu miu cca lu lasso” (passo e ripasso, il male del mio bambino lo lascio qui). Al nono passaggio si trova con la faccia verso Ailano. Allora, senza voltarsi e con la massima sollecitudine, passato il bambino al braccio destro, con la sinistra getta nella fonte un pezzo di pane seguitando sena mai “torcer lo sguardo dietro”.

I panni del bambino, tolti prima dell’immersione, restano sospesi a qualche cespuglio e fanno la fortuna, di padre in figlio, da una lunghissima serie d’anni, di un cenciaiolo di Raviscanina, il quale va a raccoglierli ogni otto giorni.

Al ritorno, pochi passi dalla fonte, dicono, comparisce immancabilmente un grosso serpente che, senza recare molestia scompare. Molti asseriscono di averlo visto anche nella più rigida stagione. (!!!)

 

 

Streghe

 

Dipendono da Benevento, dove vanno ogni sabato a ballare sotto il noce. Si ungono con acque miracolose da loro solo possedute e dicono: “zurro sotto” (sotto caprone). Saltate sulla groppa  del cornuto animale gl’impongono: “coppa acqua, coppa viento, portame alla noce re Veneviento” (Benevento).

Sotto il noce assiste al ballo un vecchio maone con uno scettro di ferro. Terminata la cerimonia del ballo incomincia l’incenso al mago, cui ognuna esprime la volontà di andare ad un determinato luogo. Il mago accennando da loro la potenza. Viaggiano avvolte nel lenzuolo. In ogni paese, raccolte in un luogo determinato, passano sotto la finestra del massimo mago del paese, così avvisano il loro viaggio.

Quando in un paese non v’è magone si raccolgono con quelle d’un altro paese per salutare il mago di là. In Raviscanina, si racconta, che un giovanotto, appostatosi il sabato sera dietro il mago, mentre questi assisteva alla sfilata, abbia visto, passare 12 streghe di Ailano e 13 di Raviscanina, queste precedevano quelle. La prima era l’amante di quel giovanotto. E’ fatto di data piuttosto recente (1863 o 1875): allora in Ailano non v’era il mago.

I “magoni” celebri che più si ricordano in Ailano sono:

-         Guancitto – Giovanni Lanzone vissuto nel 1860

-         Marechiccio – Antonio Iacobellis

-         Maturo – Giuseppe Iacobellis nipote di Marechiccio

-         Scangiuso – Nicola Montenegro

Verso il 1840 o 1850 Antonio Caruso di Castello d’Alife, stabilitosi in Ailano, spacciatasi per mago.

Il luogo di riunione per le streghe in Ailano erano i gradini dell’Annunziata, chiesa diruta che fu adibita per sepolture.

Moltissimo tempo fa un certo Silvestro Cacciola, sacerdote e confessore, incredulo delle “ianare”, (dette pure donne di notte), ricevute le confessioni delle donne che “avevano morti i figli dalle streghe e le accuse contro donne determinate, che egli riteneva per ‘sante’, un giorno, confessandone una, sonnecchiava. La donna disse: “Padre tu dormi e non senti la mia confessione”. Egli rispose: “Questa notte sono andato con le streghe”.

“Io non t’ho visto”.

“Io si e con te ho viste le altre di Ailano” (e qui nominò tutte quelle che gli erano state accusate). Ella consentì ed aggiunse: “Con noi c’era l’Arcivescovo di Benevento. La riunione era sui gradini dell’Annunziata”.

L’incredulità divenne desiderio nel sacerdote che pregò la strega perché la notte lo chiamasse. Svegliato dal sonno vide nella casa diverse di quelle che gli erano state accusate, le quali, ridendo, gli porgevano tre mele. Egli ne mangiò una. La notte stessa viaggiò sul caprone. Da quella notte era chiamato a continue danze.

Egli negava, si rifiutava. Allora gli furono richieste le mele, che potette restituire solo invocando S. Nicola. Morì tormentato da quelle. Abitava nella strada Cristo, alla prima svolta, scendendo dalla Piazza. Dopo il miracolo di S. Nicola ne fece dipingere un’immagine presso la casa con quella di S. Giovanni e S. Antonio (ora scomparse del tutto).

Durante le notti di stregoneria dalla loggia, che guarda verso l’Annunziata, chiamava a raccolta le streghe, su quei gradini (mangando la “tufa” = tromba).

 

 

La Pantafeca

 

E’ il volgare di fantasma. Veste per lo più di colore rosso e si mostra in non pochi luoghi; spesso di notte, ma non manca di apparire anche di giorno. Le sue ore predilette sono la mezzanotte, il mezzogiorno e tutta la “siesta” delle giornate estive.

E’ con questo spauracchio che i genitori tenevano i figli sempre a giocare nelle vicinanze di casa. Ricordo che quando ero piccolo non mi allontanavo dalla Via Roma, dove abitavo, perché avevo una orribile paura della Pantafeca che mi facesse la “pipì” sulla testa per trasformarmi “in non so che”.

 

 

Gliu Mazzamauriegliu (o monaciello)

 

Abita le case, specie ai pianterreni (cantine, dispense); ma non sdegna le masserie solitarie, il forno e la cucina. Veste come la Pantafeca di rosso e quasi sempre va a piedi nudi. Ha caro il suo berretto frigio e pare non abbandoni mai il suo “mazzariello” di ferro, corto e potente. Ha figura lillipuziano, pancia non molto comune e appare ogni volta che gli resta comodo; ma preferisce anch’egli le ore della Pantafeca. Ama le donne, ma non è propenso ad averne dei tranelli di cui s’accorge finalmente e finisce coll’adoperare la sua verga di ferro e col celarsi per sempre, recando gravi danni alla casa, agli animali ed agli altri averi. E’ ghiotto delle frittelle, specie dei “zippeli”. Dispensa denaro d’ogni quantità ed è sempre affezionato alla più bella di casa; ma oltre l’affetto pare che non chieda altro; l’è fedele e la soddisfa in ogni desiderio, meno i carnali.

 

 

Le leggende di “Casa Murata”

 

- Prima

 

Sul pendio “Pelato” del monte le Coste, così chiamata perché priva di alberi, si ergeva una torre di vedetta. Infatti da questo luogo si domina tutta la valle del Volturno da Presenzano a S. Potito.

Narra la leggenda che nei sotterranei v’era un favoloso tesoro, a guardia del quale vi era un mostruoso drago dalle “cinque teste”.

Questo lo donava a colui che gli avrebbe portato un’anima innocente, cioè un neonato. Un ardimentoso milanese, dopo una lunga e faticosa marcia vi giunse portando “un gatto in fascia”. Scoperto il trucco, mentre era nei gelidi sotterranei, fu maciullato.

E d’allora nessun altro ebbe il coraggio di scendere nel profondo cunicolo. Lì è ancora il “favoloso tesoro”. Vi rimarrà fino alla “morte” dei secoli perché “alcuno” ha il barbaro coraggio di barattarlo con un neonato…!!!

 

- Seconda

 

V’era in Ailano un vecchio che tutti chiamavano “zi Paulo”, uomo basso e tarchiato. Egli portava sulla testa un “cappello rosso” con un fiocco alla bersagliera e una larga fascia colorata avvolta sui pantaloni.

Un giorno questi si rivolse ad un famoso prete (?) dicendo: “Padre su Casa Murata v’è un ricchissimo tesoro. Che cosa si deve fare per prenderlo?”. Il prete, con voce calma rispose: “Caro figlio ci vuole un’anima innocente e tu corri il pericolo di perderla per sempre”.

Dopo otto giorni dall’incontro, salirono l’erto Monte delle Coste “zi Paulo”, la figlioletta Maria, quindicenne, e il prete con un libro antico sotto il braccio sinistro.

Giunse davanti alla misteriosa porta il prete, rivolto a Maria, disse: “Non aver paura se la porta si aprirà dopo che io ho letto alcune parole misteriose. tu dovrai scendere la lunga e stretta scala e giungerai in una stanza dove troverai un “bel giovane” seduto e, alla sua sinistra, troverai una chiave. La prenderai e la porterai su e così saremo padroni del tesoro”. La ragazza scese e dopo aver detto al giovane: “Come sei bello!”; prese la chiave e iniziò a salire. Ma giunta al terzultimo gradino disse al padre: “Come è diventata pesante! Non ho più la forza di tenerla. Prendila tu”. A che il padre rispose: “Non posso. Fatti coraggio e supera questi tre scalini”. La ragazza non avendo più la forza, gridò: “Madonna mia, dammi la forza”. Appena queste parole furono pronunziate la ragazza scomparve e tutto ritornò come prima, cioè la porta si chiuse. L’addolorato padre si rivolse al prete: “Cosa devo fare per riavere la mia adorata figlia?”. Il prete, con quella sua voce sempre calma, rispose: “Vai a S. Gregorio e da un vecchio pastore troverai sana e salva la tua Maria”. Con grande ed ardente speranza il padre iniziò il lungo e faticoso cammino tra valli e monti per giungere al piccolo paesetto montano. Qui giunto trovò dal vecchio pastore la figlia. “Zi Paulo” provò un grande tormento e dolore nel vedere la figlia, pallida e tremante, diventata muta. La prese per la mano e lentamente rifece il cammino e giunse ad Ailano.

La sventurata innocente Maria, pallida e macilenta, dopo un anno morì senza aver preso la parola.

Così il tesoro è ancora in quell’orrido avanzo feudale di “Casa Murata”.

Tale leggenda l’ho ascoltata dalla viva voce del vecchio ed arzillo Paolo Iolli fu Silvio.

 

 

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